Africa

Sudafrica, aspettando le elezioni del 2014

È da 19 anni che il partito-simbolo anti-apartheid detiene le redini politiche nel Sudafrica libero dalle catene del razzismo. L’African National Congress (ANC) è considerato un po’ in tutto il mondo quel movimento che ha combattuto le ingiustizie perpetrate dalla minoranza bianca sino agli anni Novanta del XXI secolo. Tante, in effetti, le manifestazioni e le azioni di protesta compiute dall’ANC, fondato nel lontano 1912 per rivendicare maggiori diritti e libertà dei neri: dall’organizzazione di scioperi a gesti pubblici di dissenso, come le imponenti campagne di mobilitazione anti-pass [1]. Questo partito ha portato avanti un percorso di liberazione nazionale grazie comunque al contributo di altre forze politiche e movimenti sudafricani anti-apartheid.

Dal 1994, quando si sono tenute le prime elezioni multirazziali, l’ANC è riuscito a occupare la gestione politica della nazione per effetto sia della lungimiranza e del carisma di Mandela, sia dell’eredità culturale, sociale lasciata dalle sue figure più rappresentative: oltre a Mandela, è d’obbligo ricordare Albert Luthuli (premio Nobel per la Pace nel 1961) e Govan Mbeki, padre del secondo Presidente della Repubblica Sudafrica, Thabo Mbeki. Tante le aspettative della popolazione sudafricana verso i leader dell’ANC e tante le speranze deluse. Negli ultimi anni è sempre più evidente il fallimento sociale ed economico del partito di Mandela.

Dopo vent’anni dalla dissoluzione dell’apartheid, il Sudafrica rimane una nazione piena di contraddizioni, dove sono ancora forti le disuguaglianze tra bianchi e neri. Già nel 2002, Ashwin Desai, professore di Sociologia presso l’Università di Johannesburg, raccontava le dicotomie socio-economiche della “nazione arcobaleno”, poi sintetizzate nel libro Noi siamo i poveri. Lotte comunitarie nel nuovo apartheid (Ed. DeriveApprodi). Agli inizi del nuovo millennio le sperequazioni rimanevano: il tasso di disoccupazione nel 2010 era del 23,3%, ma se lo si legge bene si scopre che la maggioranza dei senza lavoro sono neri (il 29,8%), mentre la minoranza, vale a dire il 5% del totale dei disoccupati, è bianca.

il ricco quartiere di Sandton City, in alto, e la township di Alexandra (Johannesburg) - qui le contraddizioni e i divari sono sconvolgenti

Basta visitare la città di Johannesburg e la sua periferia per osservare direttamente queste discrepanze economiche. Il quartiere di Sandton è sinonimo di sudafricani benestanti, con tanto di ville, piscine, e con sistemi di allarme sofisticati per paura di furti o intrusioni poco gradite. Qui sorgono moderni centri commerciali, ci sono banche e centri finanziari. Molti bianchi che vivono a Sandton nutrono ancora forti sentimenti razzisti e di superiorità nei confronti dei neri.

A pochi chilometri da questo quartiere di bianchi borghesi, sorge la township di Alexandra, fra i luoghi più poveri del Sudafrica post-apartheid, la cui storia risale ai primi anni del 900. Nonostante l’avvio dell’Alexandra Renewal Project con cui si intendeva migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti, ancora molto c’è da fare per risolvere i problemi basilari della gente di Alexandra. Si è parlato della nascita di una nuova borghesia nera con l’avvento al potere dell’ANC e con lo sviluppo economico di alcune aziende sudafricane, ma si tratta solo di 3 milioni di individui (secondo i dati ufficiali), mentre la popolazione sudafricana è di circa 51 milioni di abitanti. L’aspettativa di vita è di 53 anni per gli uomini e di 54 anni per le donne: dati ancora molto bassi che dimostrano quanto lavoro c’è ancora da compiere per migliorare le condizioni sanitarie e sociali della gente.

L’Arcivescovo anglicano Desmond Tutu con Mandela

In questo contesto di difficoltà economiche e di sperequazioni, aumentate per l’effetto della crisi globale, si stanno levando voci molto critiche verso il partito di Mandela. Tra le più autorevoli spicca quella dell’Arcivescovo anglicano Desmond Tutu, Premio Nobel per la Pace nel 1984, che ha affermato agli inizi di maggio 2013 che non ha più intenzione di votare l’ANC alle prossime elezioni che cadranno tra un anno. Desmond Tutu ha sempre appoggiato e sostenuto l’ANC, prima e dopo la fine dell’apartheid, ha creduto nell’azione del suo amico Mandela, ma con la nuova generazione di politici qualcosa è profondamente cambiato.

«L’ANC ha lavorato molto bene e per diverso tempo nella lotta all’oppressione – ha dichiarato l’arcivescovo – ma adesso non mi sembra che tale progetto possa prendere la forma di un vero e proprio partito politico […] ho deciso che non darò più il mio voto a loro».

All’interno dell’ANC è da ormai diverso tempo, da quando Mandela si è dimesso da ogni carica politica e ha seri problemi di salute, che si sta combattendo una lotta interna per il potere. Ciò alimenta corruzione a vari livelli e proprio la corruzione ha spinto l’Arcivescovo Tutu ha compiere quella dichiarazione così importante, che potrà avere ripercussioni sulle prossime elezioni essendo lui una figura di spicco in Sudafrica e personaggio molto stimato anche all’estero.

Mamphela-Ramphele

Creerà seri problemi all’ANC anche il nuovo partito fondato da una donna straordinaria, colta e molto agguerrita: Mamphela Ramphele, bravo medico, personalità accademica nota (attiva presso l’Università di Cape Town) e manager di successo (ha lavorato alla Banca Mondiale ai massimi vertici), nonché attivista anti-apartheid. È stata tra le figure di spicco del Black Consciousness Movement, insieme a Stephen Biko tra gli anni ’60 e ’70, proprio durante il periodo in cui Mandela e altri leader dell’ANC erano rinchiusi nel carcere di Robben Insland.

Mamphela Ramphele, da sempre impegnata socialmente, attraverso la Nelson Mandela Foundation, e altre organizzazioni no-profit che promuovono valori e progetti per una società aperta, non razzista, né sessista, ma democratica a 360 gradi, ha dato vita alla nuova formazione politica chiamata Agang, che in lingua Sotho (una delle lingue ufficiali del Sudafrica che in tutto sono 11) significa “costruire”, ovvero: costruire un Sudafrica davvero multirazziale, dove il concetto di razza non sia più così invasivo così come lo è ancora, nonostante la fine dell’apartheid; costruire un Sudafrica con una distribuzione della ricchezza più giusta e con una giustizia sociale imparziale.

«Perché, se milioni di cittadini vogliono il cambiamento, e coloro che detengono influenza nella nostra economia e al governo riconoscono la necessità di agire con urgenza, nulla o così poco è stato fatto fino ad ora? Nella mia esperienza, una parte importante della risposta sta in una parola: la paura», ha affermato la dott.ssa Ramphele.

«Quando finì l’apartheid, abbiamo sottovalutato ciò che è necessario per passare da una condizione di subordinati sotto governi non democratici, che ci negavano il diritto di fare le nostre scelte, a una condizione di cittadini di una democrazia costituzionale stabile».
E in occasione del lancio di Agang, in un luogo simbolico come la storica prigione delle donne a Constitutional Hill, ha dichiarato:
«La grandezza della nostra società è fondamentalmente minata da un profondo fallimento del governo. Il nostro paese ha perso l’autorità morale e il rispetto internazionale di cui godeva quando divenne una democrazia».

Come non darle torto dopo il massacro di 34 minatori sudafricani uccisi a colpi di pistola sparati alla schiena, mentre fuggivano, a bruciapelo, senza possibilità di difendersi, il 16 agosto 2012 presso la miniera di Marikana?

Il 2014 sarà l’anno più difficile per il Sudafrica e soprattutto per l’ANC dai tempi dell’apartheid: o ci sarà uno svolta economica a favore dei poveri sudafricani – senza più sottostare alle pressioni dei mercati finanziari internazionali e del neoliberismo globale – o nuove lotte e proteste si allargheranno, invocando una vera democrazia nella nazione arcobaleno.

[1]Le pass law obbligarono i minatori a tenere sempre con sè un documento di riconoscimento il quale “permetteva loro di lavorare nelle miniere, ma impediva di cambiare lavoro”. La prima forma di pass (lasciapassare) risale al 1760 e fu applicata agli schiavi del Capo. Nel 1872, l’utilizzo del pass fu ufficializzato presso la città di Kimberley, dove l’Ufficio di reclutamento lì ubicato, disponeva che i lavoratori africani ricevessero un ‘lasciapassare’ che permetteva loro di cercare un ingaggio, con una durata non inferiore a tre mesi. Con l’istituzione dell’apartheid, i pass furono definiti reference book e dovevano indicare, per ogni africano di sesso maschile, il permesso di lavorare, circolare e/o risiedere nel cosiddetto ‘Sudafrica bianco’. Le pass law, che rappresentarono il nucleo centrale della politica dell’influx control (controllo dei flussi), furono varate per controllare i movimenti degli africani e la loro presenza nel mercato del lavoro. L’obbligo dei lasciapassare fu esteso anche alle donne africane, nonostante queste ultime avessero condotto un’imponente campagna di mobilitazione anti-pass.

Silvia C. Turrin

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