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La crisi libica e il traffico di armi nell’Africa occidentale

Ogni anno, in Africa, muoiono 45mila persone a causa del commercio di armi da fuoco. È ciò che emerge dallo studio pubblicato da Small Arms Survey, centro di ricerca indipendente creato presso l’Istituto degli alti studi internazionali e dello sviluppo con sede a Ginevra. La ricerca ha analizzato il periodo 2012-2017. Matthias Nowak, ricercatore del Small Arms Survey che ha seguito l’indagine, ha affermato che nel continente africano si registrano annualmente 140mila morti e omicidi legati ai conflitti armati e, tra questi, sono stati accertati 45mila decessi causati dall’uso di armi da fuoco.

Nel Rapporto stilato dal Centro di ricerche svizzero si legge che le armi e le munizioni rubate o sottratte da quegli arsenali nazionali non adeguatamente protetti alimentano numerosi flussi illeciti di armamenti. In particolare, si è creato un commercio illegale che va dal Maghreb all’Africa occidentale ed è sostenuto dalla presenza sempre più numerosa di gruppi estremisti violenti quali Al-Qaïda, Ansar Dine, Al Mourabitoun e Boko Haram.

L’effetto domino della destituzione di Muammar Gheddafi

Questi traffici illeciti di armi si sono accresciuti dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. Guida ideologica e politica della Libia dal 1969, dopo aver destituito il sistema monarchico e corrotto del re Idris I, Gheddafi ha controllato il Paese sino al prorompere tumultuoso della cosiddetta “primavera araba”, che ha investito come un fiume in piena anche il vicino Egitto.

Con lo scoppio della Prima guerra civile libica, il governo di Gheddafi fu preso di mira non solo dai ribelli interni al Paese, ma anche dagli Stati Uniti e dalla Francia: senza l’intervento di queste due nazioni occidentali la situazione libica avrebbe avuto un esito potenzialmente differente.

Con la morte di Gheddafi e la caduta del sistema politico-istituzionale e militare che egli aveva creato si è innescata una profonda destabilizzazione della Libia, che ha oltrepassato le sue stesse frontiere. La crisi libica ha avviato una sorta di effetto domino, rendendo instabili varie aree della regione saheliana. Senza più un centro governativo di controllo, gli arsenali libici sono stati presi di mira da vari attori, come ex soldati, ribelli, trafficanti di armi. Tutto ciò che vi era in quegli arsenali adesso circola senza alcun controllo nell’Africa occidentale. La zona a nord del fiume Niger rappresenta un’area particolarmente attiva e ben organizzata in fatto di commercio d’armi.

La necessità di pacificare la Libia

L’indagine di Small Arms Survey sottolinea che la Guinea Bissau, il Mali, il Niger e il Burkina Faso sono le nazioni che più risentono di questi traffici illegali e che, per questo motivo, i rispettivi governi dovrebbero coordinarsi e mobilitarsi in sinergia per prevenire conflitti armati e insurrezioni, o almeno dovrebbero prepararsi per affrontare le minacce legate alla criminalità transnazionale organizzata.

Lo studio propone inoltre alcune misure da adottare affinché siano scongiurati ulteriori destabilizzazioni. Tra queste misure auspicabili figura un maggior controllo del commercio di armi da parte dei singoli Stati. Maggior controllo significa anche lotta alla corruzione, a livello sia governativo, sia regionale.

Intanto, il figlio di Muammar Gheddafi, Saif al Islam (nella foto), sebbene sia ricercato dal Tribunale internazionale dell’Aia per presunti crimini contro l’umanità, tramite fidati collaboratori ha lanciato un messaggio chiaro, affinché egli possa partecipare al Forum nazionale libico. L’Onu intende organizzare tale simposio nel gennaio 2019, in preparazione delle auspicate elezioni libiche in primavera.

E Saif al Islam vuole esserci, perché, ha fatto sapere, adesso i libici sono ritornati a credere in lui. Dal punto di vista dell’erede di Gheddafi, una maggiore stabilità della Libia è possibile soltanto col suo ritorno sulla scena politico-istituzionale. Da più parti si crede che sia possibile annullare il mandato di cattura emesso nei suoi confronti dal Tribunale internazionale dell’Aia.

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Se gli atti di terrorismo e l’instabilità del Sahel e di alcune zone dell’Africa occidentale sono stati innescati proprio dalla crisi libica, allora, occorre ridare un governo autorevole a Tripoli, che sappia pacificare il paese. Forse l’appello lanciato da Saif al Islam sul finire del mese di novembre 2018 non è un caso. Ma potrebbero non volere un suo ritorno in politica non tanto i libici e le varie fazioni interne, quanto piuttosto attori esterni al paese. Le sorti della Libia influenzano le vicine nazioni, ma a sua volta, la Libia è condizionata dai giochi di potere che si agitano fuori dai confini dell’Africa.

Silvia C. Turrin

L’articolo è on line anche sul sito SMA Africa

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