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La crisi ecologica del pianeta, tra speranze e pessimismo

“L’armonia di un individuo con il proprio sé profondo non richiede soltanto un viaggio nell’interiorità, ma un’armonizzazione con il mondo ambientale”, affermava anni or sono il compianto psicanalista statunitense James Hillman, fautore della psicologia archetipica.

Hillman, intellettuale e filosofo controcorrente, ha sempre sottolineato lo stretto legame che unisce l’uomo alla natura. Ciò non stupisce, considerato che l’illustre psicanalista americano di origini viennesi aderì, almeno per un certo periodo, alla scuola junghiana e già lo stesso Jung ribadì più volte la necessità dell’uomo, per il suo equilibrio, di entrare in contatto con gli alberi, coi fiori, con gli Elementi.

Da questa prospettiva, la relazione uomo-natura appare paritaria, anzi, la natura si rivela taumaturgica.

Purtroppo, negli ultimi secoli, il paradigma socio-economico e politico dominante ha messo sul piedistallo l’uomo: la visione antropocentrica continua a prevalere. Lo vediamo nelle Agende di tante élite di governo, lo vediamo nelle scelte industriali e lo vediamo ancora sul piano culturale. In tanti settori, troppi, prevale la concezione secondo cui l’essere umano (e, in particolare l’essere umano maschio, N.d.A.) è l’organismo più intelligente e quindi più predisposto a evolvere rispetto alle altre forme viventi presenti sul pianeta.

Questa propensione all’evoluzione deriva dalla capacità del nostro cervello di modificarsi, di svilupparsi e di crescere.

A questo punto, osservando in profondità cosa sta accadendo in tanti ecosistemi della Terra, ci si può chiedere:

Cosa significa esattamente evoluzione? Lo sviluppo e la crescita del cervello umano implicano “meccanicamente” anche uno sviluppo della conoscenza, della qualità di vita, e del benessere globale?

Sviluppo e crescita sono sinonimo di progresso?

Leggendo il nuovo libro di Bruno Sebastiani dal titolo Il cancro del Pianeta” (Armando Editore, 2017) non sembrerebbero così scontate e automatiche le risposte alle precedenti questioni.

L’Autore, infatti, mette in luce come l’espansione del cervello umano avvenuta nel corso dei millenni sia proprio la causa dei disastri ambientali che si verificano negli ultimi due secoli. Questa espansione del nostro encefalo ha spinto l’uomo a ergersi al di sopra delle altre specie viventi – come fosse un “superuomo” – provocando o accelerando processi ambientali distruttivi e sconvolgenti, ai quali, forse, non potremo in alcun modo porre rimedio.

Bruno Sebastiani per spiegare la sua tesi modifica il punto di osservazione centrale e da una visione antropocentrica, in cui chiaramente non si riconosce affatto, passa a una visione “geocentrica”. O meglio, come sottolinea nel libro, l’antropocentrismo di per sé non sarebbe nocivo se fosse realizzato in un modo completamente diverso rispetto alle pratiche deleterie che conosciamo con cui viene attuato.

Scrive Sebastiani: “[…]quando si parla di punto di vista “antropocentrico”, sarebbe più corretto dire punto di vista “antropocentrico immediato, egoistico e relativo agli strati privilegiati/emergenti del genere umano”, perché in realtà se l’uomo avesse riguardo non del suo immediato tornaconto ma di quello più ampio di tutto il suo genere, i punti di vista “antropocentrico” e “geocentrico” andrebbero a coincidere”.

Purtroppo, così non è, né a livello ecologico, né a livello socio-economico.

In queste settimane di giugno di gran caldo, tutti noi, non solo in Italia, abbiamo percepito chiaramente gli effetti terribili del “global warming”. Sebbene vi siano ancora esponenti politici e figure di primo piano a livello internazionale che continuino a portare avanti la tesi negazionista (per i propri interessi), di fatto, gli il riscaldamento globale è in atto ormai da diverso tempo. Se non modifichiamo i nostri stili di vita, allora, questa nostra“evoluzione” si interromperà o mostrerà apertamente che in realtà non si tratta(va) di evoluzione, bensì di un errato, approccio esistenziale.

Questo errato approccio, come sottolinea Sebastiani, lo si vede chiaramente nella continua cementificazione della terra perpetrata dall’uomo.

“Il cancro del pianeta” siamo in pratica noi essere umani che, giorno dopo giorno, attraverso scelte politiche ed economiche antropocentriche “elitarie” facciamo avanzare la patologia nel corpo della Terra.

Per l’Autore, “siamo noi le cellule impazzite di questo ecosistema”.

Attraverso dati recenti e analisi storiche, Bruno Sebastiani ci mostra come è avvenuta la nascita e l’espansione delle cellule tumorali sul nostro pianeta. Traccia così, partendo naturalmente dalla sua personale prospettiva sociologica, lo sviluppo della malattia.

Sebbene alcune osservazioni da lui compiute, legate per esempio alle figure di Socrate, Platone e Aristotele, siano condivisibili o meno, l’Autore traccia un percorso di fatto “logico” che lo porta a dichiarare, da un lato, un forte pessimismo verso il cammino tecno-scientifico intrapreso sinora dall’uomo, dall’altro, lo spinge a trovare una certa speranza in un modus vivendi a stretto contatto con la natura.

Infatti, la sfiducia verso il genere umano viene alla fine, in parte, mitigata. Il libro si chiude con l’invito dell’Autore a scegliere un modus vivendi più basato sulla semplicità e sulla socialità, a contatto coi boschi, con le acque, con la terra, coi nostri amici animali, ovviamente lontano dal cemento urbano.

Silvia C. Turrin

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