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La squadra sudafricana di rugby Campione del mondo 2019

È una storica vittoria quella del Sudafrica contro l’Inghilterra. Le due squadre di rugby hanno giocato in Giappone, presso lo Stadio internazionale di Yokohama e il risultato è stato inequivocabile: una netta vittoria degli Springboks con un punteggio di 32 a 12. Un risultato che avrebbe applaudito certamente il compianto Nelson Mandela.

Una doppia vittoria

Oltre allo straordinario risultato e alla preparazione, non solo tecnica, della squadra sudafricana, la Coppa del mondo 2019 di rugby conferma l’importanza dell’unità. Uno spirito di intesa e di fiducia reciproca, che ha portato i sudafricani a ottenere questa storica vittoria. Già, perché a guardare i componenti della squadra degli Springboks, nel 2019, risultano evidenti due elementi importanti: il primo è che si tratta di ragazzi di diversa estrazione sociale, sia bianchi sia neri; il secondo è la presenza di un capitano nero, Siyamthanda “Siya” Kolisi. Perché sottolineare ancora, nel 2019, l’importanza del colore di una persona? Perché la storia del Sudafrica e quella degli Springboks ci portano proprio a evidenziare questi due elementi, rari, se non impossibili durante l’epoca oscura dell’apartheid. Quando ancora trionfava il regime razzista, durato dal 1948 al 1991, il rugby era uno sport per soli bianchi, giocato da soli bianchi per l’élite bianca.

La squadra degli Sprinkboks incarnava il razzismo imperante in Sudafrica, in un periodo storico segnato dall’idea folle di una presunta superiorità dei bianchi sui neri. Con lo smantellamento delle leggi razziali e con la fine del regime, anche nel rugby qualcosa cambiò. Fu merito di Nelson Mandela, primo Presidente nero della Repubblica del Sudafrica, a trasformare gli Springboks in una squadra non più per soli bianchi, ma in una squadra davvero della “nazione arcobaleno”. Quando nel 1995 si tenne la Coppa del mondo di rugby in Sudafrica, Mandela ha fatto di tutto per supportare i giocatori, smussando e calmando persino le tensioni interne al suo partito, l’ANC. All’epoca il rugby era ancora motivo di scontro, proprio perché gli strascichi pesanti dell’apartheid si facevano ancora sentire. Ma la vittoria del 1995 segnò un cambiamento a livello sportivo. Il rugby si stava aprendo anche alla comunità nera. Dopo un’altra vittoria nel 2007, la squadra sudafricana stava dimostrando che “uniti si vince”.

Coesione sociale attraverso lo sport

Il rugby, e in genere lo sport, dovrebbe essere motivo di coesione sociale. Coraggio, lealtà, unità, spirito di solidarietà, sacrificio, umiltà sono alcuni punti fermi della pratica sportiva. Quando nello sport entrano giochi di potere, atteggiamenti razzisti, ricatti, comportamenti arroganti non si può più parlare di vero sport. La storia della squadra sudafricana di rugby e la sua recente vittoria dimostra che lo sport, quello vero, non ha colore, se si esclude il colore della maglia indossata e quello dell’emblema della squadra (nel caso sudafricano l’emblema non è più l’antilope, ma lo splendido fiore della protea, simbolo della nazione arcobaleno). Nel momento in cui le divisioni prevalgono il gruppo perde forza, la squadra non può sviluppare tutte le potenzialità a causa delle fratture interne e sociali, proprio come è accaduto agli Springboks durante l’apartheid. La vittoria della squadra di rugby sudafricana è la vittoria di tutti coloro che credono nella sana competizione sportiva, in cui non c’è posto né per cori razzisti, né per atteggiamenti che riportano le lancette della storia all’epoca dei trogloditi.

Silvia C. Turrin

Foto: Charly Triballeau / AFP; Global Sport Matters; Enca.com

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