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Scoprire l’Africa Occidentale con un’insolita esploratrice

Il nome di Mary Henrietta Kingsley non dice molto ai più. Eppure, questa figura femminile vissuta in piena epoca Vittoriana merita di essere ricordata. Nata il 13 ottobre 1862 in Inghilterra, la Kingsley è l’unica donna, nota alle cronache, che ha esplorato nell’800, in modo non convenzionale, la regione occidentale dell’Africa. Suo padre,  George Kingsley era medico, viaggiatore e scrittore. La passione per la conoscenza di luoghi lontani le ha stata trasmessa proprio dalla figura paterna. Mary Kingsley si è allontanata dalla sua terra a trent’anni, dopo il decesso di suo padre, seguito a pochi mesi di distanza dalla morte della madre, Mary Bailey. Grazie alla sua parte di eredità (divisa col fratello Charles), Mary Kingsley ha la possibilità di realizzare il suo desiderio di sempre: viaggiare, esplorare e conoscere quella parte di mondo all’epoca ancora avvolta da un alone di mistero.

Molti suoi compatrioti la ritenevano folle per la scelta di intraprendere viaggi in Africa da sola, senza un marito. Era il periodo vittoriano, quindi Mary Kingsley ha dimostrato di avere tanto coraggio e tanta curiosità: due tratti caratteriali che l’hanno spinta a ignorare le convenzioni dell’epoca e le dicerie.

Come scrive lei stessa: «I miei compatrioti mi consideravano poco più che una pazza, ma io, sprezzante di tutto e di tutti, me ne andavo in giro per l’Africa in lungo e in largo con le mie gonne che scendevano fino alle caviglie e le sottane multistrato che più di una volta mi protessero dai morsi degli insetti più micidiali. Spinta da un impulso irrefrenabile, avevo abbandonato il mio tranquillo e lindo villaggio nel Galles per attraverso mefitiche paludi infestate da coccodrilli e impervie foreste pluviali ricoperte dalle mangrovie. In principio, il movente dei miei viaggi era stato l’amore per la scienza: avendo studiato botanica e zoologia e, nel corso della mia prima avventura in Angola, avevo battezzato molte specie di piante e di animali da me scoperte. Successivamente, la mia passione per la scienza cessò e iniziò quella, ben più soddisfacente, per gli uomini».

Mary Kingsley è stata in primis una brava naturalista: una delle sue missioni era quella di raccogliere campioni di alcune specie animali – soprattutto pesci di acqua dolce e piante – da consegnare al British Museum. Come lei ha scritto nel passo qui citato, iniziò poi ad essere affascinata dalle culture dei popoli che incontrava, divenendo un’attenta etnografa.

La sua prima tappa in Africa fu la Sierra Leone, dove giunse il 17 agosto 1893, per poi dirigersi a Luanda, in Angola. Durante questa sua prima esperienza africana, Mary vive nei villaggi e interagisce con i locali, apprendendo da loro quei saperi indispensabili per sopravvivere nelle intricate e pericolose foreste dell’Africa. Indispensabili conoscenze mediche le aveva acquisite come infermiera presso il  Kaiserworth Medical Institute: sapeva come curarsi dalle ferite e da alcune malattie.

La sua seconda esplorazione inizia nel dicembre 1894, supportata dagli appoggi in Inghilterra di Albert Günther, zoologo del British Museum, e dell’editore George Macmillan, che le aveva dato il suo giudizio positivo alla pubblicazione dei suoi resoconti di viaggio.

In questo secondo viaggio, la Kingsley studia i riti e le pratiche religiose delle tribù cannibali, in Nigeria, per poi recarsi in Gabon. Qui, viaggia in canoa lungo il fiume Ogooué, incontra l’etnia Fang e, per prima, raggiunge la vetta del Monte Camerun percorrendo una via nuova, mai intrapresa da nessun bianco prima di lei.

Nelle sue memorie scrive: «Riscossi una fama e un successo inusitati. Fui chiamata a tenere numerose conferenze nel mio paese e mi dedicai a scrivere le mie memorie. Ma, come per tanti altri vagabondi prima di me, fui ben presto nuovamente attanagliata dal morso della nostalgia dei viaggi e dei pellegrinaggi che produceva dentro di me un’irrequietezza irresistibile. Per non impazzire davvero, mi imbarcai questa volta per il Sudafrica con la scusa di curare come infermiera i prigionieri di guerra boeri». −>continua

Il mio articolo continua sul sito di SMA Afriche

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