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Ricordando Aimé Césaire

Un secolo fa, il 26 giugno 1913 nasceva il grande intellettuale nero, antillano, martinicano Aimé Césaire, tra i fondatori del movimento della negritudine insieme a Léopold Senghor e a Léon Damas. Il suo contributo al risveglio e alla definizione dell’identità nera è stato fondamentale. Mentre in Italia la sua figura sembra ormai dimenticata, in Francia viene celebrato dall’amico e scrittore Daniel Maximin.

È uscito da poche settimane in terra francese un bel libro dedicato a uno dei padri della negritudine, Aimé Césaire (26 giugno 1913 – 17 aprile 2008). Quest’anno, 2013, ricorre un secolo dalla nascita di questo grande intellettuale nero, antillano, martinicano, autore di memorabili poesie, pièce teatrali e saggi di alto spessore storico-politico e sociale. Un anniversario completamente dimenticato in Italia, un paese sempre più chiuso nei suoi problemi, sempre più refrattario a quelle espressioni culturali, che non facciano rima con percussioni, musiche e danze, provenienti dall’Africa e dalla diaspora africana.

Vogliamo qui ricordare Aimé Césaire prendendo spunto dal nuovo libro di Daniel Maximin, anch’egli antillano, nato però in Guadalupa, suo caro amico. Anch’egli scrittore e poeta, Maximin, dal 1980 al 1989, è stato Direttore della casa editrice Présence Africaine e alla morte di Césaire è stato colui che in più occasioni ha celebrato l’icona della negritudine.

Maximin ha scritto Aimé Césaire, frère volcan (Éditions du Seuil, 2013), un’opera che non è una biografia, né un saggio, né tanto meno una personale testimonianza, bensì un ritratto lucido e veritiero del grande intellettuale martinicano. Con uno stile sospeso tra una forma di colloquio diretto con Césaire e un’altra indirizzata al lettore, Maximin ne ricorda la vita, intensa, inquieta e piena di slanci non solo letterari. Cahier d’un retour au pays natal (Diario del ritorno al Paese natale) è considerato come una caposaldo dell’intera opera di Césaire, poiché sviluppa l’idea di coscienza e di identità nera e al contempo sviscera il significato di oppressione e di sfruttamento da parte dei coloni europei. Il Diario diventa emblema del movimento della negritudine. Quest’ultimo termine fu coniato dallo stesso Aimé Césaire, come ebbe a dire Léopold Senghor: “La parola negritudine è stata spesso contestata […] è stato proposto di sostituirla con altre, come mentalità, africanità. […] Personalmente mi sento molto più libero di difendere il termine che è stato inventato non da me, come si afferma per sbaglio, ma da Aimé Césaire”.

Daniel Maximin (sulla sinistra) con Aimé Césaire

Daniel Maximin tratteggia così un intellettuale che appartiene a una nuova generazione di pensatori neri, nati lontano dal continente africano, ma orgogliosi delle proprie radici africane. Radici identitarie ancor più ricercate da Césaire in quanto martinicano e antillano. Césaire ha messo proprio in luce la deformità culturale che aleggia nelle Antille, dove la maggior parte degli intellettuali e anche il popolo si identifica[va] con il mondo dei bianchi: è ancora oggi un’eresia per molti antillani ritrovare la propria identità originaria nell’Africa, nella schiavitù, in quell’abisso vissuto realmente dagli avi, troppo spesso dimenticati dalle generazioni contemporanee.

Per questo, come sottolinea Maximin nel libro, ha un ruolo decisivo la rivista Tropiques fondata nel 1941 da Césaire e dalla compagna Suzanne (morta prematuramente nel 1966): una pubblicazione che grida agli antillani “è bello essere nero”.

Ma Aimé Césaire è stato anche uomo politico forte, coerente con le sue idee : fu deputato e sindaco di Fort-de-France, e ha speso 56 dei suoi anni dedicandosi a un cambiamento nei rapporti tra Francia ed ex-colonie trasformate in Dipartimenti d’oltremare. La sua coerenza l’ha dimostrata sino alla fine, quando, tre anni prima della sua morte, si rifiutò d’incontrare l’allora ministro dell’Interno Nicholas Sarkozy, dell’Union pour un Mouvement Populaire (Ump), partito neo-gollista che nel 2005 varò una legge, poi parzialmente abrogata, che proponeva di riconoscere l’eredità positiva lasciata dalla colonizzazione francese nei paesi d’oltremare. Nel provvedimento si legge: “La nazione esprime la sua riconoscenza alle donne e agli uomini che hanno partecipato all’opera compiuta dalla Francia nei vecchi dipartimenti francesi d’Algeria, in Marocco, in Tunisia e in Indocina, così come nei territori posti anteriormente sotto la sovranità francese”.

La motivazione del rifiuto?

Nelle parole di Aimé Césaire: «Perché in quanto autore del Discorso sul colonialismo rimango fedele alla mia dottrina e rimango anticolonialista convinto».

Una frase emblematica, che racchiude tutta la forza di questo intellettuale nero antillano che meriterebbe maggiore considerazione nei programmi educativi scolastici, ovunque nel mondo…

Silvia C. Turrin

L’articolo è on line anche sul sito di SMA Afriche

Alcune delle opere di Aimé Césaire tradotte e pubblicate in italiano:

  • Discorso sul colonialismo, Ombre Corte, 2010
  • Diario del ritorno al paese natale, Jaca Book, 2004
  • Una stagione nel Congo, Argo, 2003

Documento-video
Breve estratto di un intervento di Aimé Césaire all’Assemblea Nazionale di Francia sul tema dell’uguaglianza

 

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