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Intervista a The Thrust – album We love U

 

Nel tipico slang statunitense, il termine “thrust” significa colpo, spinta. Un concetto vitale, carico di energia, come i ritmi funk del disco firmato Herbie Hancock che porta proprio questo titolo e al quale si sono ispirati i fratelli Ragonese, Pepe e Pancho, e Giovanni Giorgi per dare vita al loro primo progetto musicale. Dopo varie esperienze professionali – spettacoli teatrali e televisivi, dj set – formano il loro gruppo, The Thrust, appunto, e grazie al sostegno di Lifegate Music, hanno prodotto We love U. Album che tocca l’anima sin dal primo ascolto. Sonorità jazz sono abilmente intrecciate a cadenze funk, jungle, R&B, a cui si aggiungono echi dal sapore etnico, attraverso l’uso delle tablas. Si sente che i tre giovani musicisti sono cresciuti consumando vinili e cd di grandi artisti e addentrandosi in vari generi musicali.

“La passione per la musica – spiega Pancho (piano, tastiere, fender rhodes) – è nata sin da quando ero piccolo. La formazione tecnica e strumentale è iniziata studiando le composizioni classiche. Adoravo Back, e poi Ravel, Debussy. Ma grazie anche a nostro fratello maggiore, Luis, io e mio fratello Pepe, ci siamo avvicinati alle sonorità funkeggianti degli Earth Wind & Fire, al rock di band come Deep Purple, Led Zeppelin, passando per il jazz di Louis Armstrong, Duke Ellington, l’hard bop di Freddie Hubbard. La mia vera passione per il jazz è nata a 13 anni, grazie al disco di Bill Evans “Live and leave regalatomi da un vicino di casa. È stata per me una folgorazione. E così ho cercato di capire e trascrivere, anche da autodidatta, gli assoli, i voicing, gli accordi”.

The Thrust

Non molto dissimile è stato l’approccio alla musica di Pepe (tromba, voce). “Nei primi anni dell’adolescenza – racconta – sentivo molto il rock progressivo, per esempio dei Rush. Amo in maniera totale i suoni che mi scatenano forti sensazioni e nel jazz ho trovato proprio pure emozioni. Suonando la tromba è stato quasi inevitabile sentire che questo genere, più di altri, mi appartenesse e Chet Backer è stato il mio primo amore jazzistico in senso assoluto, con quel suono così caldo e romantico della tromba”. Anche Giovanni (batteria, basso, chitarra, basso) è stato circondato da un effluvio di note. “Mio padre è musicista e tramite lui mi sono avvicinato al rock progressivo (Rush, King Crimson), alla musica sperimentale di Robert Fripp, e poi ancora a Jaco Pastorius, Chick Corea, Paco de Lucia, Al di Meola, Miles Davis, Coltrane, Parker. E adesso, più che mai, mi sento totalmente legato al jazz. Ci sono più possibilità di esprimersi, c’è più creatività, improvvisazione, libertà”.

Loro punti di riferimento attuali sono indubbiamente Waine Shorter, Joe Zawinul, il già ricordato Herbie Hancock, che hanno seguito un po’ l’approccio davisiano a compiere intrecci sonori e sperimentazioni. “Hancock – precisa Pancho – è stato per noi fonte di particolare ispirazione: dal nostro stesso nome, ai rimandi funk e all’uso nel nostro disco delle fender rhodes”. E aggiunge Pepe “Anche il tango, le musiche tradizionali dell’Argentina – nostro Paese d’origine – e sonorità brasiliane sono confluiti in We love U, dando vita a una fusione creativa di varie influenze, personalizzata dal nostro stile”.

Un album fondamentalmente strumentale. Eppure, nei brevi commenti parlati vengono considerati temi sociali e politici carichi di significato.

“Sì, crediamo che ogni artista dovrebbe assumersi la responsabilità di comunicare messaggi impegnati. Abbiamo così voluto mettere due recitativi – quasi in stile anni ’70, alla Frank Zappa – per dire quello che pensiamo su ciò che accade attorno a noi. Nell’intro, elenchiamo una serie di questioni sempre aperte (violazione dei diritti umani, problemi ecologici…), ma in mezzo alle incertezze e alle contraddizioni sociali, c’è sempre e ancora l’arte che ha il potere di trasmettere energia. Ecco perché nella parte finale dell’intro abbiamo voluto evidenziare che noi suoniamo per dare amore e per riceverlo da chi ne fruisce. Mentre il “prelude to We love U” è un’invettiva che termina in positivo solo però in senso sarcastico. È un “vi amiamo” ironico e amaro allo stesso tempo, perché non si può amare chi produce armi o chi le imbraccia in nome di qualcun altro. Ma non si può nemmeno odiare chi lo fa. Comprensione e pace: questi in definitiva i nostri messaggi”.

Parlando di brani strumentali, “Sogno allucinato” è fra le tracce più ipnotiche del disco. Nasce da una particolare suggestione?

“Quando l’ho scritto – racconta Pepe – i vari giri armonici che si sviluppavano e la struttura che ne nasceva mi portavano a immaginare e a raccontare attraverso la melodia determinate immagini alla Blade Runner, a un futuro un po’ oscuro, avvolto da nebbie grigie. Ho voluto così ricreare un’atmosfera quasi da notte continua, disturbata da un inserto onirico, rappresentato da frequenze radiofoniche”.

Altri brani intensi sono “We love you” e “Five Days”, dove si incontra il sax alto, nel primo, soprano, nel secondo, di Stefano Di Battista.

“Una collaborazione, quella con Stefano, – spiega Giovanni – concretizzatasi solo in fase di mixaggio. Con lui abbiamo registrato parecchio materiale, che in parte confluirà nei nostri prossimi lavori acustici. We love U rappresenta la nostra anima più jazz ed elettrica, ma intendiamo non abbandonare una visione più minimalista, acustica appunto, della musica”.

Sentire parlare Pepe, Pancho, Giovanni del loro disco è davvero un piacere. Si percepiscono passione, coinvolgimento e la voglia di crescere, sperimentare. Ottimi musicisti, pieni di sensibilità e consapevolezza sociale che hanno realizzato un album d’esordio da ascoltare con la mente e con la pace nel cuore.

Silvia C. Turrin

Intervista pubblicata su Jazz Magazine n.40 – Marzo 2006

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