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Desmond Tutu – Il mio Dio sovversivo

Chi ha seguito e ha a cuore le vicende sudafricane conosce molto bene Desmond Tutu. È stato colui che ha coniato l’idea di Rainbow Nation per descrivere, in sintesi, le caratteristiche del nuovo Sudafrica post-apartheid, basato sull’unione delle differenti comunità sudafricane. L’Arcivescovo emerito di Cape Town, caro amico di Nelson Mandela, divenne una delle voci appartenenti al mondo religioso sudafricano, più critiche contro il governo di Pretoria e contro il sistema razziale istituzionalizzato dalla minoranza al potere. Proprio per il suo impegno attivo anti-apartheid e per i suoi discorsi a favore del dialogo fu insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1984. La sua indole a favore dei più deboli e dei più poveri l’abbiamo vista anche in occasione delle udienze avvenute nel corso della Truth and Reconciliation Commission (Commissione per la Verità e Riconciliazione), istituita per indagare sulla violazione dei diritti umani e civili e sulle atrocità commesse sia dai movimenti di protesta anti-apartheid, sia dalle forze di polizia e dei servizi segreti sudafricani [1].

Desmond Tutu fuori dall'Ambasciata sudafricana a Washington, D.C. - foto (c) Rick Reinhard.
foto http://civilrightsteaching.org/

Desmond Tutu, classe 1931, ha dimostrato e dimostra ancora di nutrire un immutato spirito combattivo contro iniquità sociali e soprusi. Basti ricordare il suo netto rifiuto a partecipare, nel 2012, al Discovery Invest Summit, poiché, ha dichiarato, non poteva intervenire sullo stesso palco a fianco di Tony Blair, definito “moralmente indifendibile”per il suo sostegno alla guerra in Iraq.

Sebbene abbia scritto a quattro mani con la figlia Mpho The Book of Forgiving e sebbene abbia sempre sostenuto l’importanza del perdono e della riconciliazione, non ha mai messo in secondo piano l’etica, la giustizia sociale e la morale. Ecco perché si è rifiutato di condividere il palco con Blair: sarebbe stato un atto in contraddizione con questi valori.

L’etica, la giustizia sociale e la morale li ritroviamo anche nel nuovo libro Il mio Dio sovversivo edito dalla EMI di Bologna (2015). Leggendolo si comprendono le radici filosofiche e soprattutto religiose che hanno animato Desmond Tutu a contrastare i soprusi e le angherie vissute dai suoi confratelli sudafricani e da altri popoli assoggettati a tirannie e violenze di vario tipo.

il mio Dio sovversivoQuesto è un testo per così dire rivoluzionario, poiché ci descrive un Dio che agisce a fianco e a favore dei più deboli, degli oppressi, dei perseguitati e dei disprezzati. È “un Dio di parte”, come scrive l’Arcivescovo anglicano, ricordando per esempio le narrazioni dei profeti, quali Elia e Isaia. Sono racconti in cui l’opulenza dei prelati e le celebrazioni eucaristiche sfarzose vengono denunciate come pratiche non conformi alla parola di Dio. Desmond Tutu sottolinea con enfasi questo aspetto affermando che:

I profeti ribollivano di sdegno di fronte all’ingiustizia, e condannavano in particolare le celebrazioni religiose appariscenti, che facevano tutt’uno con un rapace disprezzo della vita dei poveri, degli affamati, degli emarginati, dei relitti della società. Questi non avevano nessuno che alzasse la voce per difenderli, e allora era Dio a ergersi in loro difesa”.

Quello che descrive Desmond Tutu è un Dio sovversivo, che sceglie un’umile famiglia di Nazareth quale nucleo dove far nascere e crescere Gesù, che è Figlio di questo Dio sovversivo. Gesù nacque in una mangiatoia, scaldato dal bue e dall’asinello, non in un opulente palazzo. Maria e Giuseppe erano poveri e dei rifugiati che nessuno voleva accogliere e, per questa scelta, Dio si rivela “sovversivo”. È un Dio che va oltre le apparenze, che va oltre le ricchezze e che guarda al cuore delle persone.

Qui troviamo chiaramente un punto di contatto tra quanto afferma Desmond Tutu e quanto sostiene Papa Francesco quando dice: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!
C’è in effetti una parte di cristiani che storce un po’ il naso quando si parla di povertà.

Come ha dichiarato lo stesso Pontefice, in occasione della Messa a Santa Marta (giugno 2015), povertà è “una parola che sempre mette in imbarazzo”.

[…] “Ma questo sacerdote parla troppo di povertà, questo vescovo parla di povertà, questo cristiano, questa suora parlano di povertà… Ma sono un po’ comunisti, no?” […]

La povertà è proprio al centro del Vangelo. Se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù”.

Ed è proprio lo stesso messaggio che emerge leggendo questo scritto di Desmond Tutu.

Nel libro, poi, ci viene più volte ricordato anche che noi siamo stati creati a Sua immagine e Dio ci ha affidato la sua intera creazione. Abbiamo il compito, sottolinea Desmond Tutu, di fare le sue veci e quindi di proteggere la Terra e le sue risorse naturali. Invece, le stiamo sprecando e stiamo distruggendo l’ambiente: il buco dell’ozono, il riscaldamento globale, la deforestazione non sono quindi, da questa prospettiva, questioni solamente politiche, bensì presuppongono un interesse e un coinvolgimento di tutti i cattolici.

Dio voleva che noi vivessimo in un paradiso, invece stiamo precipitando verso un inferno fabbricato da noi stessi, per la trascuratezza con cui sfruttiamo le risorse”.

Questo è un altro elemento che accomuna Desmond Tutu – lo ricordiamo, portatore di una “visione” anglicana – e quanto ha detto più volte Papa Francesco. In particolare, l’Enciclica Laudato sii esprime proprio l’urgenza di proteggere la “nostra casa comune” che è la Terra.

Nella Lettera Enciclica si legge: “Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti”.

Stare dalla parte dei poveri, rispettare e tutelare il Creato, considerare ogni essere umano portatore di Dio, poiché creato a Sua immagine: questi sono alcuni dei temi centrali di questo nuovo libro firmato Desmond Tutu. Ancora una volta, il Premio Nobel per la Pace sudafricano ci fa riflettere sull’essere davvero credenti. Lo siamo veramente, nei fatti, o preferiamo seguire falsi idoli, dare ascolto a signori del denaro e prendere la via del materialismo dissoluto, che porta alla distruzione della sola “casa comune” che un Dio amorevole ci ha donato?

Silvia C. Turrin

[1] Come ricordo nel libro Il movimento della Consapevolezza Nera in Sudafrica (Erga, 2011): “L’uso della tortura da parte delle forze di polizia aumentò in modo impressionante con l’introduzione, nel 1963, della clausola detta dei 90 giorni: in quest’arco di tempo, qualunque persona sospettata di attività politiche sovversive poteva essere detenuta senza mandato e trattenuta in isolamento, senza poter appellarsi alla difesa. In seguito, tale clausola venne perfezionata consentendo la detenzione preventiva, senza imputazione né processo, per un periodo di 180 giorni. Dal rapporto della TRC si stima che le forze di sicurezza sudafricane praticavano diversi tipi di tortura nei confronti dei prigionieri: pestaggi, maltrattamenti fisici tramite l’uso di strumenti elettrici, violenza psicologica, soffocamento e deprivazioni.

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