Africa Storia e Archeologia

Ricordando Ken Saro-Wiwa

20 anni fa veniva ucciso una figura-simbolo delle rivendicazioni ecologiste e sociali in Nigeria, Ken Saro-Wiwa, drammaturgo e intellettuale, portavoce delle varie etnie oggetto di spoliazioni economiche e ambientali da parte delle multinazionali occidentali. Rappresentò in particolare il popolo degli Ogoni attraverso la creazione del Movement for the Survival of the Ogoni People (MOSOP).

Per ricordarlo ripropongo qui un mio articolo del 2013, i cui contenuti sono purtroppo ancora attuali, considerata la situazione ambientale e sociale nel Delta del Niger.

Continuano le crisi ambientali nel Delta del Niger

e le minacce agli Ogoni

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È da anni che i movimenti ecologisti e la popolazione locale premono affinché la Shell, la principale compagnia petrolifera attiva nel Delta del Niger, attui concrete ed tangibili bonifiche dei siti inquinati. Tante le mobilitazioni, in questi ultimi decenni, contro le attività contaminanti della multinazionale anglo-olandese.

Dopo numerosi appelli e mozioni, la Shell è stata dichiarata dalla corte olandese “responsabile per l’inquinamento di terre coltivabili presso Ikot Ada Udo (Stato di Akwa Ibom della Nigeria)”.

Una sentenza emessa all’inizio del 2013 che si rivela importante per vari motivi:

  • perché l’azione legale è stata intrapresa da quattro agricoltori nigeriani, aiutati dall’associazione Friends of the Earth, i quali sono riusciti a trascinare il colosso petrolifero davanti al tribunale olandese;
  • perché la sentenza sottolinea come l’operato della Shell abbia danneggiato le falde acquifere e le terre della regione;
  • perché la sentenza sottolinea che la Shell si è dimostrata indifferente difronte alle richieste di maggior tutela ambientale da parte dei cittadini nigeriani.

Ciò che invece rende perplessi in merito a questa sentenza è che la corte olandese ha riconosciuto responsabile dell’inquinamento soltanto la sussidiaria della multinazionale, cioè la Shell Nigeria, non citando invece la società madre. Il giudice Henk Wien ha infatti dichiarato che la corte “respinge tutte le accuse contro la società capogruppo, dal momento che il diritto nigeriano afferma che una casa madre non è obbligata, in via di principio, a evitare che le sue affiliate rechino danni a terzi all’estero”.

Una conclusione un po’ sibillina dietro cui si nasconde qualche perplessità. Ciò non toglie che si tratti di un primo passo rilevante a favore di una parte della popolazione del Delta del Niger. Purtroppo, la crisi ambientale in questa regione è ancora acuta, come anche i casi di violazione dei diritti umani.

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Come sappiamo, la Nigeria sarebbe una nazione ricca se i proventi dell’estrazione del petrolio fossero gestiti in modo trasparente e su scale locale. Ciò non avviene, poiché gli introiti vengono dirottati all’estero, dalla multinazionale Shell, ma anche dalla Eni, che opera in Nigeria attraverso la Agip. Come accade per la compagnia anglo-olandese, anche per quella italiana si sono registrati casi di fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti gestiti da Eni, come denunciato da varie Ong. Queste perdite contaminano campi, falde acquifere, fiumi, indispensabili per l’agricoltura e per il sostentamento della popolazione locale.

La qualità di vita, si può immaginare, è penosa, anche a causa di un sistema sanitario cui può accedere solo una minima percentuale dei nigeriani. A ciò si aggiunge il cosiddetto gas flaring, cioè il gas naturale estratto e bruciato in loco dalle compagnie petrolifere, che non fa altro che aumentare l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Si tratta di un’attività illegale che immette nell’atmosfera una pletora di gas serra.

nigeriaRivendicazioni per il controllo dell’oro nero nel Delta del Niger si sono manifestate già a partire dagli anni ’60, ma si sono radicalizzate negli anni ’90. Figura-simbolo di queste rivendicazioni ambientaliste e sociali è stato Ken Saro-Wiwa, drammaturgo e intellettuale nigeriano, che fu portavoce delle varie etnie oggetto di spoliazioni economiche e ambientali da parte delle multinazionali. Rappresentò in particolare il popolo degli Ogoni attraverso la creazione del Movement for the Survival of the Ogoni People (MOSOP), i cui obiettivi sono la tutela dell’ecosistema del Delta e l’autodeterminazione, con mezzi non violenti, del popolo Ogoni.

Per le sue attività e dimostrazioni di protesta, Saro-Wiwa fu impiccato nel 1994, con l’accusa di aver ordito l’uccisione di alcuni presunti oppositori del MOSOP. Due anni dopo, Jenny Green, avvocato del Center for Constitutional Rights di New York, aveva avviato una causa contro la Shell per dimostrarne il coinvolgimento nell’esecuzione dell’intellettuale nigeriano. Il processo, iniziato nel maggio 2009, si è concluso con l’immediato patteggiamento della Shell, i cui rappresentanti hanno preferito pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari (circa 11 milioni di euro), piuttosto che prendere parte ad un processo che li avrebbe costretti a testimoniare di fronte a un tribunale di New York.

Minacce agli Ogoni si sono verificate anche nei primi mesi del 2013. Poliziotti e militari hanno fatto irruzione in alcuni villaggi dello Stato di Rivers, imprigionando sei persone. Gli arresti sono stati provocati dalle contestazioni dei contadini contro la decisione del governo di vendere circa tremila ettari di terreno a una società messicana intenzionata a creare piantagioni di banani. Un altro caso di land grabbing in una terra africana già troppo martoriata e succube degli interessi di potenze straniere.

Silvia C. Turrin
13-03-2013

Poesia Ken Saro-Wiwa

La vera prigione

La vera prigione

Non è il tetto che perde

Non sono nemmeno le zanzare che ronzano

Nella umida, misera cella.

Non è il rumore metallico della chiave

Mentre il secondino ti chiude dentro.

Non sono le meschine razioni

insufficienti per uomo o bestia

Neanche il nulla del giorno

Che sprofonda nel vuoto della notte

Non è

Non è

Non è.

Sono le bugie che ti hanno martellato

Le orecchie per un’intera generazione

È il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida

Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari

In cambio di un misero pasto al giorno.

Il magistrato che scrive sul suo libro

La punizione, lei lo sa, è ingiusta

La decrepitezza morale

L’inettitudine mentale

Che concede alla dittatura una falsa legittimazione

La vigliaccheria travestita da obbedienza

In agguato nelle nostre anime denigrate

È la paura di calzoni inumiditi

Non osiamo eliminare la nostra urina

È questo

È questo

È questo

Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero

In una cupa prigione.

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