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Una mostra a Londra ricorda la schiavitù e la segregazione

Si intitola “Soul Grown Deep like the Rivers” la mostra d’arte inaugurata a Londra il 17 marzo presso la Royal Academy of Arts. L’esposizione, che raccoglie oltre 60 opere di 34 artisti afro-americani, rintraccia l’assurda inumanità della tratta degli schiavi, la politica segregazionista americana e l’istituzionalizzazione del razzismo.

Strappati con la forza e la violenza dalle loro terre d’origine, allontanati per sempre dall’Africa, milioni di persone rese schiave sono state imbarcate su navi dirette verso il Nuovo Mondo. Serviva abbondante manodopera nelle piantagioni di cotone, caffè, cacao, zucchero. E l’Africa rappresentava la migliore riserva di lavoratori, resistenti e a costo zero, da poter impiegare nelle nuove terre. Dal XVI secolo ha così inizio un lucroso, inumano commercio portato avanti prima dai portoghesi e spagnoli, poi intensificato da inglesi, francesi e olandesi.

I discendenti di quegli schiavi africani hanno poi conosciuto la segregazione, una forma un po’ più “addolcita” di oppressione, sempre intrisa da un forte razzismo.  A questo passato si ispirano gli artisti presenti nella mostra londinese. Le loro storie sono accomunate dal fatto di discendere da famiglie che hanno avuto il coraggio di rimanere negli Stati dell’America del Sud, dove imperava la segregazione razziale. Artisti nati nei primi decenni del XX secolo, cresciuti ascoltando i racconti dei vecchi riguardo ai loro avi. Storie che narrano di violenze, di trattamenti crudeli, ingiustizie economiche e sociali, marginalizzazione, oppressione.

Il nome della mostra si riallaccia a quello della Fondazione Souls Grown Deep, voluta dal collezionista William S. Arnett nel 2010. La Fondazione è impegnata a sostenere l’inclusione degli artisti neri e a promuovere l’emancipazione economica, la giustizia razziale e sociale e l’istruzione nelle comunità che hanno dato origine a questi artisti.

A sua volta, il nome “Souls Grown Deep” prende spunto da una poesia del 1921 di Langston Hughes (1902-1967) intitolata “The Negro Speaks of Rivers”, in cui si legge nell’ultima riga “La mia anima è cresciuta in profondità come i fiumi”.

protagonisti di Souls Grown Deep like the Rivers sono artisti ignorati in Italia, che meritano di essere conosciuti: Thornton Dial, Lonnie Holley, Ronald Lockett, Hawkins Bolden, Bessie Harvey, Charles Williams, Mary T. Smith, Purvis Young, Mose Tolliver, Nellie Mae Rowe, Mary Lee Bendolph, Marlene Bennett Jones, Martha Jane Pettway, Loretta Pettway, Henry e Georgia Speller.

Le opere selezionate rappresentano diverse espressioni artistiche: sculture, dipinti, disegni, lavori materici. Il materiale usato va dall’argilla al legno, passando da oggetti riciclati sino all’impiego delle radici di alberi.

Interessante poi sottolineare come gli artisti di questa esposizione non abbiano alle spalle una formazione formale in senso stretto. Piuttosto, hanno appreso a plasmare oggetti in forma d’arte grazie allo spirito comunitario vissuto nelle città d’origine nel Sud degli Stati Uniti.

Tra gli artisti vi è Lonnie Holley, classe 1950. La storia di quest’uomo di 73 anni è emblematica.

È nato nello stato dell’Alabama, da una famiglia numerosa, in un contesto di segregazione razziale. Ricorda i soprusi subiti da suo padre, dai suoi fratelli e sorelle, e da lui stesso, solo perché ritenuti ancora schiavi.

“Noi eravamo considerati come i reietti, gli scarti della società. Siamo stati gettati nella strada. La strada era il nostro quartiere. E gli oggetti buttati abbiamo imparato a riutilizzarli”.

L’arte di Lonnie Holley è nata da un contesto di lotta, di difficoltà, da cui è scaturita proprio l’esigenza di esprimere tutto ciò che sentiva attraverso la creatività.

Le opere degli artisti presenti nell’esposizione londinese “Soul Grown Deep like the Rivers” riportano alla mente anche retaggi artistici africani, come il riciclo e il riuso. Un’usanza diffusa non solo nel settore artistico.

Questa mostra – che chiuderà i battenti il 18 giugno 2023 – crea un ponte culturale tra discendenti degli schiavi e africani, mostrando come dall’oppressione possano nascere nuove forme di riscatto sociale.

Silvia C. Turrin

Foto: soulsgrowndeep.org


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